Lettera che San Tommaso scrisse in Aquino all’abate di Montecassino mentre era in viaggio per partecipare al Concilio di Lione
“…e io penso che non senza volontà del Signore sia intervenuto, che le vostre lettere, mentre ero in punto di muovere per Francia, mi capitassero in Aquino…”
Al Reverendo Padre in Cristo Signor Bernardo per la grazia di Dio venerabile Abate Cassinese il fratello Tommaso di Aquino, suo devoto figliuolo, gli si protesta sempre ed in ogni luogo pronto all’obbedienza:
Venerando Padre, era mio desiderio che adunati i Padri, i quali sono andati in iscandalo dalle parole dell’illustre Dottore Gregorio, io ti soddisfacessi a bocca; ma di ciò fare sono stato impedito e dalla continua occupazione nel divino uffizio, e dal prolungato digiuno. E per avventura ciò non sia disutile, perché quello che si scrive non pure de’ presenti, ma torna in servizio eziandio degli avvenire. E mi penso che non senza volontà del Signore sia intervenuto, che le vostre lettere, mentre ero in punto di muovere per Francia, mi capitassero in Aquino dove il B. Mauro, discepolo del santissimo padre nostro Benedetto, fu degno ricevere le lettere ed i sacri doni di così gran Padre. Ed acciocché i dubbiosi ne vadano meglio certificati, è bene ripetere qua del B. Gregorio quelle parole che inducono dubbio ed errore agl’ignoranti. E’ dice: “E’ da sapere, che la benignità di Dio concede a’ peccatori tempo a pentirsi ma poiché rivolgono la grazia del tempo non ad usar penitenza, ma a continuare le loro iniquità, è perdono quello che potevano meritare dalla divina misericordia, avvegnaché l’onnipotente Iddio antivegga per la morte di ciascun uomo quel tempo in cui la vita di lui ha termine; né in altro tempo altri può morire se non in quello che è muore. Imperocché se al viver d’Ezechia furono aggiunti altri quindici anni, il tempo di sua vita crebbe da quell’ora in cui egli doveva morire, perciocché la divina mente allora antivide il suo tempo nel quale poi lo sottrasse dalla presente vita”. Nelle quali parole il Dottore assai chiaramente pone la duplice considerazione che debbesi avere di ciascun uomo, una in rapporto a sé, e l’altra in rapporto alla divina prescienza. Uomo considerato in rapporto a sé, cioè in quelle cose, che intervengono intorno a lui, non soggiace a necessità; ma può stare che avvengano intorno a lui alcune cose, le quali possono sortire tutt’altro effetto, il che pone espressamente de’ peccatori dove dice: “Poiché la grazia del tempo è spendono non ad usar penitenza, ma opere d’iniquità, perdono quello che potevano acquistare dalla divina misericordia”. Se dunque potevano acquistarlo, non lo perdono di necessità. Onde si vede, che quelle cose che cadono contro l’uomo non si derivano da necessità. L’istessa ragione ora fa della morte e di ogni altra cosa che l’uomo opera o subisce, imperocché tutto è sottoposto alla Divina Provvidenza. Se poi l’uomo va considerato rispetto alla prescienza di Dio, quelle cose che opera o subisce in certo modo importano alcuna necessità, per fermo non assoluta, di qualità che considerate in se stesse non possono altrimenti avvenire, ma condizionale, perché veramente questa necessità condizionale apparisce necessaria. Quando Iddio antivede una cosa, questa avverrà. Non possono stare queste due cose insieme, ciò che qualche cosa si antivegga da Dio, e la non sia. Se così fosse, la divina prescienza fallirebbe. E poi è al tutto impossibile, che la verità soffra falsità; e questo significano le seguenti parole del B. Gregorio quando dice: “Abbenché l’onnipotente Iddio antivegga per la morte di ciascuno quel tempo in cui termina la sua vita, né alcun poté morire in altro tempo, se non in quello istesso, che fu da Dio antiveduto di morire. Perciocché non possono queste due cose marciare bene insieme, cioè che Iddio sappia innanzi che altri muoia in un tempo posto, e poi si muoia in un altro. Se così fosse, la scienza di Dio fallirebbe. Considerato poi l’uomo rispetto a sé, egli può morire in altro tempo. Chi pone in dubbio, che egli si è potuto morir prima passato di coltello, o di arsione, o finir la vita in un precipizio o strozzato? Questa distinzione è contenuta nelle seguenti parole di lui, perciocché soggiunge: se gli anni aggiunti al vivere di Ezechia furon quindici, il tempo di sua vita crebbe da quell’ora, in cui egli doveva morire. Sarebbe da stolido il dire, che altri meriti quello che è impossibile accadere. Egli adunque rispetto a sé poteva morire in quel tempo, ma in rapporto alla divina scienza non potevano queste due cose essere simultaneamente, cioè che e’ morisse in un tempo, e Iddio innanzi sapesse lui dover morire in altro tempo, e … [mancano alcune parole nel testo]
Volendo noi con fede chiara indurre queste verità nell’animo de’ dubbiosi, egli sarà bene porre qui la differenza tra l’umana e divina conoscenza. Poché l’uomo è soggetto al mutamento e al tempo, nel quale e prima e dopo le cose hanno luogo, egli ne prende notizia successivamente, quali prima e quali dopo; e di qua nasce che raccordiamo il passato, veggiamo il presente, e prognostichiamo il futuro.
Ma Iddio, come quegli che è fuori ogni mutamento siccome è detto da Malachia: “Io il Signore non mi muto” così si esclude ogni succession di tempo, né in Lui trovasi il passato, il futuro ma in un punto solo gli stanno dinanzi e il futuro, e il passato siccome egli stesso dice al servo Mosè: “Io sono quegli che sono!”. Per tal modo adunque egli ab eterno seppe, che tal uomo non si morrebbe in tal tempo, siccome a nostra maniera parliamo, mentre che a modo di lui sarebbe da dire, e’ vede morire, come io veggo Pietro sedere. Egli è poi chiaro, che da questo, che io veggo alcun sedere non gli nasca necessità di farlo. E impossibile, che queste due cose siano ad un tempo vere, e somigliantemente, che Iddio sappia, che alcuna cosa sarà, e la non sia: né per questo però le cose future accadono di necessità. Ecco, o Padre carissimo, ciò che io secondo gli ordini vostri ho scritto per trarre dall’errore i fuorviati. Le quali cose se a costoro non parranno sufficienti, io per obbedirvi non mi terrò di tornarvi su per iscritto. La Paternità vostra viva lungamente felice. Il fratello Rainaldo vi si raccomanda.